Pubblicazione articolo su FreeTime Sicilia 2013
La Luce come Pennello
Con la “sciuta” di San Bartolomeo, patrono di Giarratana, ha vinto il Concorso fotografico National Geographic. Uno scatto non banale, in cui convivono la forza di un popolo, l’identità di una terra e il potere folgorante della luce: tutto quello che questo giovanissimo fotografodi Palazzolo Acreide racchiude nelle sue opere ispirate dallo stile di Ferdinando Scianna.
La prima volta che ha tenuto in mano una macchina fotografica, quella scatola magica attraverso cui si può giocare a fare della verità una bugia e viceversa, Salvo aveva 13 anni. A tutto il mondo di cose che si potevano scrutare attraverso l’obiettivo, trasformandole in pensiero e visione, ha continuato ad anelare negli anni faticosi dell’adolescenza. Fino a quando si è fatto prestare da un’amica una macchina fotografica e ha cominciato ad andare in giro per la sua città, Palazzolo Acreide, alla ricerca di un suo modo per raccontarla: con uno di quegli scatti ci vinse un concorso e gli regalarono una compatta digitale – la sua, finalmente – che subito è diventata il suo pennello per dipingere con la luce.
Da quel giorno non sono passati moltissimi anni, dato che Salvo Alibrio di anni ne ha appena 24: quelli che gli sono bastati per salire nell’Olimpo dei fotoreporter italiani e conquistarsi un primo premio in un concorso National Geographic.
Per appendersi al petto questa medaglia a cui decine di reporter ambiscono invano per tutto il corso di una carriera, a lui è bastato fare quello che gli piace di più: ritagliare un quadro della sua terra, sintetizzarne in un’immagine l’anima vibrante e appassionata.
Lo scatto carico di emozioni e ricco di particolari con cui Salvo Alibrio ha vinto il primo premio del VII Concorso di National Geographic, per la categoria “Gente e Popoli”, è quella della “sciuta” di san Bartolomeo, durante la festa del Patrono di Giarratana. “Una foto a cui sono molto legato sia per l’emozione che mi ha trasmesso durante lo scatto, sia perché da siciliano sono molto legato alle tradizioni della mia terra ed appassionato ad immortalare questi eventi che ancora oggi sono vivi e capaci diemozionare“, dice Salvo. E ricorda che questo scatto, proprio questo, lo ha inseguito per anni, tornando ogni volta a quella festa per poterselo conquistare. Al centro dello scatto, infatti, proprio alla “sciuta” del Santo, si affaccia un portatore che urla la sua devozione: ed era quell’elemento, il segno dell’uomo che è anche quello di un popolo, che Salvo voleva catturare. “Non volevo solo raccontare un rito – spiega – ma dimostrare che dietro di esso c’è un popolo legato alle tradizioni e alla propria identità”.
Il tempo passato da quel primissimo concorso di paese e da quella macchinetta conquistata con la prima esibizione di un talento covato, ha visto Salvo diventare adulto. Tutti i regali del suo 18° compleanno, quand’era ancora uno studente del Liceo Artistico, li ha investiti nell’acquisto della prima reflex. Poi ha cominciato a lavorare, facendo il possibile per guadagnare quello che gli serviva per comprare le sue attrezzature e tenendo la fotografia, la sua grande passione, come l’esercizio di libertà delle sue ore buche. Solo poche settimane fa però ha fatto la sua scelta, ha investito in uno studio fotografico e ha fatto la scommessa definitiva di trasformare il suo talento nel suo lavoro. Salvo ha letto poco di fotografia e ha imparato invece molto sulle strade, dall’esperienza che è la stessa macchina fotografica ad insegnare a chi ha voglia di apprendere come maneggiarla per arrivare a dominarla. Solo ora che ha vinto il concorso National Geographic è “costretto” ad andare ogni settimana a Milano per seguire il master che gli hanno regalato: “Ma non mi aspetto niente – confessa con la naturalità che lo contraddistingue – e tutto quello che voglio è fare questo, fotografare”.
Il tempo, la ricerca, i viaggi in macchina in lungo e in largo per la Sicilia e oltre, la costanza, l’attesa, l’intuizione, la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto: tutto questo c’è dentro il suo archivio fotografico, una serie magnetica per l’imponente profondità del suo bianco e nero e variegata di attimi intensi, sottratti dalla sua mano al fluire del tempo.
“Fotografare è una maniera di vivere. Ma importante è la vita non la fotografia. Importante è raccontare”, diceva Ferdinando Scianna, il fotografo di Bagheria che ha aperto la strada ai reportage delle feste religiose: un tema che, come Salvo Alibrio oggi già autorevolmente dimostra con le sue folgorazioni per nulla ripetitive, è ancora lontano dall’essere esaurito. Il racconto e la vita, o per meglio dire il racconto della vita, è quello che anche lui – come il suo principale ispiratore – va cercando per le strade della Sicilia: “Mi piace attraversare i paesaggi, mostrare cos’è questa terra, ma poi mi piace soprattutto tornare alle persone, vedere le cose attraverso i loro occhi, studiare la loro relazione con ciò che li circonda, cogliere nei loro visi l’emozione con cui stanno consumando un’esperienza”.
Così, nelle feste religiose va a cercare i volti dei fedeli, le braccia che si protendono ai Santi, corpi dei bambini offerti alla benedizione. E cerca gli occhi socchiusi nelle donne all’ora del rosario, e le mani dei loro mariti bruciate dal lavoro e dal sole, ormai appoggiate al bastone. E cerca la gravità del silenzio, così come la gioia della speranza, che in ognuna di queste occasioni si mescolano senza conflitti.
Non finisce mai la Sicilia da raccontare, per chi ha la pazienza di camminare, lungo le vallate che separano i paesi, su e giù per le scale che li solcano. Salvo Alibrio viaggia nella terra dei colori e continua a vederla in bianco e nero: “C’è una luce particolare, in Sicilia – spiega – che non mi consente di distogliere l’attenzione”. E così il suo racconto vive di quei contrasti, ci affonda, se ne nutre. E anche noi, che non possiamo più alzare gli occhi dai suoi scatti.